Immaginate un vino fuori dal tempo, innervato nel suo corpo liquido, di mare, di storia, ossigeno e capacità umana. Provate a metterci il naso dentro, magari concedendovi un retorico abbassamento di palpebre, e poi bevete. Capirete, forse, come una definizione ormai consunta quale vino da meditazione possa essere entrata nell’immaginario popolare per definire i vini ossidativi.

Lo capirete poiché quel tipo di vino, attraverso la sua essenza, dopo un inizio confortante e solito, vi condurrà in un mondo desueto, misconosciuto e gravido di mistero come alcune città di mare la cui finzione del lungomare commerciale non riesce a celare le intricate budella brulicanti di vita che si svelano a chi vuole conoscere la verità.

L’espressione “vino da meditazione” credo appartenga a Veronelli, ma se il grande Gino voleva incastonare nel mito questa tipologia, oggi la stessa frase suona come una condanna per un vino che, per quanto eterno, risulta evitato dalla odierna società, dove i barbari degustatori stanno spodestando i saggi bevitori. Non c’è più tempo per guardare dentro a un bicchiere come fosse uno specchio dell’anima.

Oggi ubbidiamo a una logica competitiva e schematica anche davanti a una tavola imbandita. Schiavizzati dalla correttezza degli abbinamenti, dall’eccellenza dei vini schierati come eserciti sul tavolo, perdiamo spesso il contatto con la poesia della viticoltura e scordiamo come qualsiasi vino, se inteso come risultato di un gesto agricolo, abbia la stessa dignità.

I vini ossidativi rifuggono dalla competizione e dagli schemi, privilegiano l’ascolto e la comprensione, pacificandoci nel tepore alcolico e iodato del loro sapore, nella cangiante varietà dei profumi. Vini capaci di parlare all’anima dell’uomo prima che alle sue capacità cognitive. I vini ossidativi non riescono proprio a conformarsi alla gestione ordinaria del nostro rapporto con il vino. Sanno essere individui speciali nell’omologazione del gusto contemporaneo.

Proprio per la loro unicità, vivono in esilio. Si imputa a questi vini la reticenza all’abbinamento, la difficoltà nell’essere collocati in un momento preciso della quotidianità. Non si capisce che un tale ragionamento svilisce l’esistenza stessa di una tradizione ormai più che secolare, l’arte di attraversare il tempo immutati, consegnandosi a noi come limpido esempio di cultura enologica e appartenenza a uno specifico territorio.

La Vernaccia di Oristano, il Marsala, il vino di Jerez e il Porto sono alcuni di questi vini che sottraggono al tempo la certezza del suo impero e ci regalano un sorso, seppure effimero, di eternità.

Elogio dell’ossidazione